L’Italia sta affrontando una crisi demografica senza precedenti, con un esodo giovanile che ha ridotto di 750.000 unità (-5,8%) la popolazione tra i 15 e i 34 anni nell’ultimo decennio. Questo fenomeno, particolarmente acuto nel Mezzogiorno, riflette problematiche strutturali che minacciano la sostenibilità socioeconomica del paese.
Un’emorragia generazionale senza freni
Il calo colpisce in modo disomogeneo:
- Nord Italia: lieve aumento (+46.821 nel Nord-est, +55.420 nel Nord-ovest), sostenuto da immigrazione e flussi interni dal Sud.
- Mezzogiorno: crollo del 14,7% (-730.756 giovani), con picchi del 20% in province come Sud Sardegna e Isernia.
Le radici del problema
Mercato del lavoro e istruzione alimentano un circolo vizioso:
- Occupazione: solo il 41,6% dei 20-34enni lavora al Sud, contro il 54,4% al Nord. Tra il 2000 e il 2019, gli occupati under 34 sono diminuiti di 2,5 milioni.
- Precarietà: il 23,6% dei giovani meridionali è disoccupato, nove punti in più della media nazionale.
- Formazione: il 22% dei 15-29enni italiani è NEET (né studia né lavora), il tasso più alto d’Europa.
Divari educativi aggravano la situazione:
- Livello d’istruzione tra i più bassi d’Europa.
- Tasso di abbandono scolastico al Sud doppio rispetto al Nord.
Conseguenze a catena
L’esodo ha effetti demografici ed economici drammatici:
- Invecchiamento popolazione: entro il 2061, gli over 70 saranno il 30,7% degli abitanti del Mezzogiorno.
- Perdita di capitale umano: il 58% degli emigrati meridionali ha un titolo di studio medio-alto.
- Impoverimento territoriale: le regioni con cali demografici maggiori (es. Calabria -32,2%) mostrano i peggiori indicatori occupazionali.
Questi dati tracciano un’Italia sempre più divisa, dove la fuga dei giovani rischia di cristallizzare squilibri secolari. Senza politiche strutturali su lavoro, formazione e sostegno alla natalità, il paese rischia di accelerare il proprio declino demografico ed economico.